Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/240

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Una poesia fondata su questi fatti, che si giova di sì copiose e pellegrine memorie, avvalorata da immagini desunte da un popolo e da un paese quali gli ho fino ad ora descritti; che, dopo aver bastato ai bisogni di questo popolo e di questo paese, si guadagna la venerazione d’infiniti altri popoli, e dalle rive del Giordano e dagli angusti confini della Cananea, ove poteva dirsi non più che bisbigliata da un pugno di mandriani fuggiaschi, senza tetto, senza leggi, senza lettere, senz’armi, passa ad essere amata, studiata, predicata dall’uno all’altro confine del mondo: è questa la poesia dei salmi.

Ma questa poesia, tramutandosi dall’oriente nell’occidente, e abbandonata Gerusalemme per Roma, subì un cambiamento quanto al linguaggio. Cantati i salmi dai leviti nel tempio di Salomone, erano intesi dalla nazione ebrea solamente; cantati dai sacerdoti del nuovo patto sotto i magnifici archi del Vaticano sono intelligibili a tutto il mondo. Che specie di stile sia quello dei Salmi quali si leggono nella Vulgata, quanto serbi dell’antico, se possa confondersi e come col testo giudaico il nuovo testo canonico, se importi assolutamente ad un traduttore conoscere la lingua ebrea, quanto prudentemente pensino quelli che domandano una traduzione fedele dal testo ebraico anzichè dalla Vulgata; di queste ed altre questioni ad esse attinenti ora intendo parlare.

E qui mi è forza premettere ch’io non mi