Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/248

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profanati? A quanti non furono devastate le vigne e spianate da’ fondamenti le case? A quanti non è toccato sedere alla mensa degl’incirconcisi, e mangiare con essi i pani rubati alla santa nazione? Chi era nato alla dolcezza dell’arti, quante volte non ha dovuto sospendere al salice la sua cetera e ascoltare le rampogne di un barbaro padrone? Quante volte non gli fu domandato che cantasse qualche cosa d’allegro sulle terre degli stranieri, coll’anima straziata dall’esilio e dalle catene? Chi è mai al mondo tanto infelice, che non abbia una qualche speranza che il tenga in vita, una qualche Sionne a cui volgere gli occhi e consacrar nella notte i sospiri e il cantico sul mattino? Ci sono per tutti gli Egiziani e gli Assirii, i tiranni dell’Austro e dell’Aquilone, che hanno sellati i cavalli e colla rattezza del lampo si mettono in corso! Chi non è che domandi, che aspetti un qualche liberatore? Chi, sentendo gemere dal profondo, non rimembra una qualche cara compagnia di parente o d’amico che gli fu tolta? Chi non ha lagrime per qualcheduno? Chi non le ha per sè stesso?

Un uomo, che ha consacrata buona parte della sua vita allo studio della poesia, e di questa voleva, anzichè proccaciarsi al mondo riputazione, recar qualche specie di ristoro all’animo suo travagliato, ha voltati i salmi in canzoni italiane. A maggiormente ravvicinare i tempi giudaici ai nostri, ha intromesso il nome di qualche