Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/353

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pure d’aprirlo come fosse una melarancia; lo dibucci pure, lo divida per spicchi; io ogni spicchio così sgusciato, così disgiunto, la noia! Noia che gli è forza masticare, sorbire, che non può in modo alcuno evitare. Povero Stanislao! Che ha egli dunque a fare de’ suoi trent’anni, della sua sanità, delle sue svelte gambe, del suo ingegno e del suo cuore? Annoiarsi.

E sentiva in questo un canarino trillare dalla sua gabbia, e pareva la musica di un cuore contento. E sì la era musica cantata entro una gabbia! E vedeva un cielo limpido, vasto, trasparente, distendersi, incurvarsi al disopra e tutto all’intorno; e sotto quel cielo una bella distesa d’acque, col riflesso de’ campanili, delle chiese, de’ palagi che ondeggiavano mollemente là entro. E non ci sarà modo ch’io possa esser altro che malinconico ed annoiato? Soltenlrava alla maraviglia la rabbia; e per questa volta non sbadigliò.

Pensò una, due, varie volle, in più giorni, in ore diverse, e conchiuse di farsi distillatore per sè medesimo di una quintessenza del piacere. Questo piacere io lo bevo nè più nè meno degli altri uomini, ciò è indubitabile. Emana da tutti gli oggetti, tutti i miei pori sono aperti a riceverlo, secondo stagione: ma l’assimilazione è difettosa. Esso mi viene amalgamato con sproporzione spaventosa a mille altre materie eterogenee che ne indeboliscono, e molte volte ne annullano l’efficacia. Dunque farne l’estrat-