Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/197

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trimenti che dagli effetti. Ma l’uomo deve egli contenersi entro l’angustia di questo confine? Deve contentarsi di non vedere più là di quello possono le bestie, egli a cui fu dato di portar alta la testa, e per conseguenza di mirar oltre i prestigi del mondo sensibile?

Confesso di avere più volte dubbiato in questi pensieri; e (tuttochè nemico apertissimo delJa doppiezza, e quindi desideroso oltre modo di trovare, se mi fosse possibile, il limite impercettibile dopo il quale la lealtà si muta in balordaggine) non ho mai saputo cavare dalle mie considerazioni tanto costrutto, quanto bastasse a farne soggetto ad una di queste mie chiacchiere di costumi. Quando, sere sono, trovandomi a dialogare con amica persona, in cui l’ingegno ed il cuore nulla hanno di comune coll’universalità de’ pensieri e de’ sentimenti del più degli uomini del mio tempo, mi fu udita una semplicissima frase che mi diede netta la distinzione fra buona fede e spensieratezza, quale si era da me lunga pezza cercata. Niente più facile, diceva il bravo e buon uomo, che l’ingaunarmi la prima volta; non so chi fino a qui m’ingannasse la seconda. Questo discorso non ha nulla di singolare, e detto da altri non ci avrei posto mente; ma pronunziato da tale, di cui l’acume naturale ini avrebbe fatto pensare che non dovesse rimauere ingannato neppure una volta, e per altra parte l’ottimo cuore che non fosse bastante a guar-