Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/263

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maravigliamo che il denaro, come suol dirsi, corra dietro al denaro, sarebbe da pensare che siamo noi, i quali, abbagliati dallo splendore, non sappiamo più vedere gli oggetti nelle loro forme naturali, e ne allarghiamo e allunghiamo le dimensioni secondo ci detta la fantasia. Siamo noi che rendiamo più rovinoso il pendio per dove scorrono le ricchezze, noi che guidiamo gli sparsi rivi a raccogliersi nel maggior letto.

Per poco che si voglia por mente a questa sproporzione de’ nostri gindizii, si vedrà che siffatta usura, tuttoché pagata spontaneamente, è la più esorbitante. Non c’è interesse che salga tanto alto quanto va l’opinione; gli effetti che ne nascono non c’è intelletto umano che basti a determinarli. Invasi di una idea che non ha fondamento nel vero, chi potrebbe immaginare a quali conclusioni ci lascieremo portare? Freqquentissimi, a non dire quotidiani, sono gli esempi. L’usura che noi paghiamo alle ricchezze non è di solo denaro, ma di ciò che vale assai più del denaro, in quanto che non è peribile o alienabile come quello, e sono i pensieri e gli affetti dell’anima nostra. Non intendo qui parlare dei suffragii che si comprano, ma di quelli che vengono dati alla opulenza spontaneamente. Quanti sono quelli che non si lascino sopraffare da vana paura, o da vane speranze? Veggo spesso taluni che si fregano attorno alle persone dei ricchi, come fanno i divoti alle sepolture dei