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sottrarsi alla mortale influenza della noia che affannerebbe il disoccupato suo tempo. Egli va a domandare se Aurelia sia morta, con quell’animo con cui avrebbe richiesto, poste altre circostanze, se le nozze di lei furono finalmente conchiuse. Per esso fanno tanto le risposte dei domestici che dei padroni: la strada è fatta, e il tempo consumato tanto nell’un modo quanto nell’altro. E se Aurelia morisse? Oh Dio! bisogna trovare un’altra malata di cui andar a richiedere le novelle tra le undici e il mezzogiorno. Non dissimile sarebbe l’imbarazzo quand’ella guarisse. Ma pur troppo di miseri e di malati non c’è mai penuria: quindi Alessandro è sempre in faccenda. L’acuto sermonatore di cui possano più ragionevolmente pregiarsi Venezia e l’Italia, ci ha insegnato con mirabili versi a far saggio della fatua amicizia di costoro, raccontando ad essi alcun che di sinistro che ci sia accaduto, e richiedendoli di soccorso. Allora potremmo accorgerci che la strenua inerzia del Venosiuo è riferibile molto opportunamente anche ad essi. Il loro cuore sta tutto nelle calcagna, e li rende abili a sgambettare da luogo a luogo, o nelle ginocchia quando trattasi di riverenze, delle quali sanno tutte le foggie e le gradazioni.
Quanto a me amo il mio caro Evandro, con tutte le sue inavvertenze, con tutte le sue distrazioni. È andato qualche volta alla campagna senza darmene avviso, ma senza ch’io lo chiamassi fe-