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Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/32

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di mantenersi e dimostrarsi verace, palesò assai per tempo l’acuto ragionatore ch’egli sarebbe diventato, e come avrebbe saputo sorvolare i particolari, o farsene scala per ascendere alla confemnlazione dell’infinito. Ma Gregorio che strignesi nelle spalle, e contentasi di dire: quando lo ha detto il tale sarà vero (senza prima conoscere che genere di verità sia poi quella onde si parla, e quale relazione ci corra tra essa verità e chi ne parla), Gregorio, dico, è credulo e non credente.

Dopo questa importantissima distinzione fra credenza e credulità, è da por mente ad un altro errore assai grossolano e comune, cioè di pensare che quanto più cieca è la credulità tanto più torni ad onore di quello in cui si ripone. Ma, domando io, che onore ne verrebbe alla bellezza che fosse tale giudicata da un cieco? Chi si terrebbe onoralo dagli omaggi di un pazzo? Non altrimenti accade della stolida credulità di certuni, colla quale si pensano far manifesta la propria devozione. Molto simili sono costoro a que’ lodatori stucchevoli, che non ti lasciano aprir bocca che prima non ti abbiano dato dell’uomo grande; o meglio a que’ servi balordi, i quali come cominci a dir loro di doverne andare in qualche sito, e di porsi a qualche faccenda, si mettono in via, o cacciano le mani all’opera, senza prima ascoltare nè dove andare, nè che far si debbano. — Credereste? — Già. — Ier sera... —