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canto ventesimosettimo. 389

217 E molti corpi furno imbalsimati,
     Massime tutti que’ de’ paladini,
     Ed alcun furno a Parigi mandati,
     E per la Francia e per tutti i confini;
     E tanti padri furno sconsolati,
     E tante donne si stracciano i crini,
     E chi la faccia e chi il petto s’infranse,
     Ch’Affrica tanto o Grecia mai non pianse.

218 E sopra tutto pianse Alda la bella,
     Chiamando sè fra l’altre dolorosa,
     D’Ulivieri e d’Orlando meschinella;
     Dicendo: Omè, quanto felice sposa
     Del più degn’uom che mai montassi in sella
     Fui alcun tempo, or misera angosciosa
     Già non invidio sua felice sorte,
     Ma increscemi di me insino alla morte.

219 O dolce sposo mio, signore e padre,
     Or non ti vedrò io più fiero ed ardito,
     Quando tu eri armato fra le squadre:
     Non creder che mai prenda altro marito,
     Ma sopra il corpo e tue membra leggiadre,
     Chè sento in Aquisgran se’ seppellito,
     Giurerà come Dido Alda la bella.
     E così fece a luogo e tempo quella.

220 Carlo fece il sepolcro al suo nipote
     In Aquisgrana, e ’l corpo quivi misse,
     Ed onorar lo fece quanto e’ puote,
     Prima che inverso Siragozza gisse,
     Dove poi furon le dolente note,
     E nel sepulcro lettere si scrisse,
     E conteneva in latino idioma:
     Un Dio, uno Orlando, ed una Roma.

221 E tutta Francia pianse il suo campione,
     E spezialmente il popol di Parigi,
     Che non pianse più Roma Scipione;
     E fatte furno essequie in San Dionigi,
     Vestite a nero tutte le persone:
     Ch’usavan prima a’ morti i panni bigi,
     Come Pericle fe’ vestir già Atene,
     E parve annunzio di future pene.