Pagina:Pulci - Morgante maggiore II.pdf/8

Da Wikisource.

canto decimottavo. 5

19 Missonsi tutti a tre presto in cammino,
     Il Veglio con Rinaldo e ’l mamalucco:
     Rinaldo, come al campo fu vicino,
     Dicea: Se del veder non son ristucco,
     Io veggo tanto popol saracino,
     Che non ne fu più al tempo di Nabucco:
     D’insegne e padiglion coperto è il piano;
     Non so se amici si son del Soldano;

20 Ma ’l campo, ch’assediò Troia la grande,
     Non ebbe la metà di questa gente,
     Tante trabacche e padiglion si spande;
     Forse il Soldan vorrà fare al presente
     A que’ prigion gustar triste vivande;
     Ma pel mio Dio ch’io lo farò dolente!
     Questo con seco diceva Rinaldo,
     E venía tutto furioso e caldo.

21 Orlando disse un giorno a Spinellone:
     Io vo’ che noi veggiamo i prigion nostri;
     Ch’era col re Gostanzo un gran barone:
     Andiamo, e pregherrem che ce gli mostri,
     Sanza cavargli fuor della prigione.
     Disse il Pagan: Sempre a’ comandi vostri
     Sarò parato, e se non ci è d’avanzo,
     Sarebbe da menarvi il re Gostanzo;

22 Chè so che gli fia caro di vedere
     Due paladin di tanto pregio e fama.
     Orlando disse: Troppo m’è in piacere.
     E Spinellone il re Gostanzo chiama:
     Nella città ne vanno, a non tenere
     Più che bisogni lunga questa trama;
     E la licenzia lor dette il Soldano,
     E pon le chiavi al re Gostanzo in mano.

23 Alla prigion se n’andorno costoro:
     Come Ulivier sentiva aprir la porta,
     A Ricciardetto disse: Ecco coloro
     Che vengono arrecarci altro che torta:
     Questo sarà per l'ultimo martoro:
     E molto ognun di lor se ne sconforta.
     Orlando, quando Ulivier suo vedea
     E Ricciardetto, parlar non potea.


1*