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eugenio anieghin 83

dei miei anni giovanili svanì come sull’erba dei prati la traccia vostra.

Il seno di Diana, le gote di Flora, o amici cari, mi fan trasecolare, ma più seducenti ancora mi sembrano i piedini di Terpsicore. Essa, lasciando travedere l’ambito guiderdone degli amanti, trascina dietro a sè un turbine di voti e di sospiri. Io adoro quei piedini: di primavera, sopra lo smalto delle lande; d’inverno, innanzi agli alari del caminetto, sul tavolato lucido dei saloni, sotto le lunghe tovaglie delle mense, e presso al mare sul granito d’uno scoglio.

Un giorno, io ed essa, eravam sul lido poco prima di una burrasca. Oh come io invidiava le onde che venivano in tumultuosa fila a lambirle amorosamente i piedi! No, durante il voluttuoso corso della mia gioventù, non bramai con tanto affetto di baciare le labbra purpuree, o le rosee guance, o il petto tremulo delle nuove Armide, come bramai in quel punto di baciare quei piedini.

Mi rimembro d’un’altra circostanza. Talvolta in un sogno felice parmi tener l’arcione della sua sella, e stringer fra mano quel piedino adorato. A quel pensiero mi si riscalda la fantasia, a quel contatto mi ribolle il sangue nelle vene agghiacciate: soffro ancora, amo ancora.... ma già troppo a lungo la mia garrula Musa celebrò le belle superbe: esse non meritano nè gli ardori nè i carmi che esse ci ispirano. Le parole e il cuore di quelle lusinghiere sono così volubili come i loro piedi.

Ma dov’è il mio Anieghin? Mezzo addormentato esce dalla festa di ballo, e va a gustare un