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118 eugenio anieghin

prezzarmi. Ma spero che compatirete alla mia misera sorte e che non mi ci abbandonerete. Da prima, io voleva tacere. Credetemi: non vi avrei svelato la mia debolezza, se avessi potuto lusingarmi di vedervi nella nostra villa di quando in quando; per esempio una volta per settimana, e di udire almeno la vostra voce, di scambiar qualche parola e poi pensare sempre, sempre a voi, a voi solo, sino al nuovo incontro. Ma si dice che siete misantropo, che la campagna vi tedia, che la società vi importuna. Si dice che noi non vi siamo cari punto, sebbene vi amiamo con sincerità. Perchè ci veniste a visitare? In questa nostra solitudine io non vi avrei conosciuto e non avrei provato le pene che provo. Col tempo avrei domato forse le ribellioni di questa anima irrequieta e inesperta, avrei trovato un amico veritiero; sarei stata sposa fedele e virtuosa madre...

»Un altro.... no; a nessuno altro donerò io il cuore. Così sta scritto nel libro del destino; così vuole la mia stella; io son tua.... tutta la mia vita è stata la preparazione di questo affetto per te. — So che Dio a me ti invia per esser mio protettore fino alla tomba.... già da gran tempo mi apparivi in visioni notturne.... prima di vederti già ti conoscevo e t’amavo, — il tuo penetrante sguardo, il tuo accento soave mi sconvolgeva il petto.... E non era un sogno! Appena ti scorsi, io ti riconobbi; rimasi immota e muta, arsi tutta e dissi fra me: è desso! Non è egli vero? Io ti ho udito più volte, più volte mi hai parlato mentre io andava a soccorrere i poveri o quando in chiesa mi sforzava di sedare le mie angosce alzando preghiere all’Eterno. Non sei tu che sovente