Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/190

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eugenio anieghin 149

Liberata dal tappo, la bottiglia sbalza; il vino ferve e fuma. Allora, con un aspetto grave, Triquet s’alza armato del suo madrigale. La compagnia ascolta in profondo silenzio; Taziana è più morta che viva. Triquet volgendosi ad essa col foglio in mano si mette a cantare stuonando. Applausi, urli d’entusiasmo ricompensano il poeta. È forza che Taziana gli faccia un inchino. Il gran poeta, umile nel suo trionfo, porta un brindisi alla bella e le consegna il prezioso manoscritto. Seguirono i complimenti e gli auguri; Taziana ringraziò tutti. Quando toccò ad Eugenio di congratularla, quell’aria smorta e stanca, quel turbamento interno, commossero il crudele. La salutò senza aprir bocca, ma il suo sguardo parlò abbastanza. Provava egli veramente un certo affetto, oppure voleva egli prendersi spasso della poveretta? Fosse per caso o fosse di proposito, quello sguardo esprimeva la simpatia e rese il respiro a Taziana.

Si respingono le seggiole con gran rimbombo. La folla si precipita dalla sala da pranzo nel salotto. Tale un ronzante sciame di pecchie esce dall’alveare e vola al prato. Ben pasciuti e ben dissetati, gli ospiti sfilano l’uno dopo l’altro. Le mamme s’assidono intorno al caminetto. Le signorine cinguettano in un angolo. I tappeti verdi1 e il boston invitano i giocatori fanatici, le ombre allettano i vecchi; il whist, tuttora in voga, raccoglie sotto alle sue bandiere chiunque per interesse sa superar la noia. Già questi ultimi han fatto otto partite, già otto volte han mutato posto: ma ecco il tè. Io segno dili-

  1. Cioè le tavole da gioco.