Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/20

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di alessandro puschin xiii

sono altrove. Finalmente sto in balía della solitudine, quella tremenda donna che foggia a modo suo gli spiriti a lei affidati. Per forza ho dovuto spogliare il vecchio uomo, raccogliermi in me stesso e meditar»e.

Nei primi tempi del suo soggiorno a Micailovschi, Puschin parve aver affatto rinunziato alle sue follie giovanili. Stava quasi sempre solo, studiava molto, lavorava moltissimo, e passava le serate colla sua vecchia balia Irene Radionovna, di cui abbiamo già parlato. Egli diceva che la buona Irene aveva rifatto la di lui educazione aprendogli l’adito al mondo fantastico dei racconti popolari, e che ad essa andava debitore della sua cognizione degli usi e delle tradizioni nazionali.

Oltre a queste lezioni private nel proprio domicilio, egli ne prendeva anche delle pubbliche per le piazze e per le campagne. Spesse volte s’insinuava fra i contadini, frequentava le taverne, ad oggetto di cogliere a volo le locuzioni, gli idiotismi che egli dichiarava tout parfumès d’une odeur de terroir. Un giorno entrò in un salotto di Pscoff travestito da mugic (ossia contadino russo). Fu dileggiato molto per quella bizzarria; ma sarebbe stato ammirato invece, se si fosse saputo che egli in tal modo si poneva in grado di osservar dappresso i costumi popolari. Egli allora preparava il suo dramma di Boris Gadunoff, nel quale voleva, secondo la sua espressione, riprodurre les traits vivants della nazione russa.

«Non v’è cosa inutile in natura (dic’egli in una sua lettera); ogni cosa concorre all’armonia universale. Il linguaggio del più oscuro mugic, le sue consuetudini e fino al suo tulup (pelliccia) son cose degne della penna d’un poeta; soltanto bisogna saperne parlare in tempo opportuno. Anche le scene popolari e le rozze beffe della plebe appartengono al dominio della poesia. Il poeta non deve mai scendere alla trivialità per gusto e per elezione; deve evitare quanto più può lo stile plateale; ma quando