Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/263

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222 pultava.

gnosa giovinetta? Come potrei io avvilirmi a segno di porgere il piede a infame laccio e di sedurre le donne a forza di smorfie e di sospiri? Questo io lascio ai zerbinotti imbelli.

Maria. Parla senza raggiri; rispondimi con schiettezza.

Mazeppa. Mi preme la tua tranquillità, Maria; dunque ascolta. Abbiamo concepito una alta impresa; siamo in procinto di porla a esecuzione; squillò l’ora del gran cimento. Già da più secoli, o Ucrania, pieghi la fronte ingloriosa e schiava, sotto il ferreo giogo dei tuoi protettori e dei tuoi tiranni di Varsavia o di Mosca. È tempo che tu rompa i tuoi ceppi, e ricuperi l’indipendenza; io inalbero lo stendardo della libertà contro la bandiera di Pietro. Tutto è pronto; i due re trattano meco; e fra poco forse, in mezzo alle rovine e alle battaglie, io erigerò un nuovo trono. Ho aderenti fidati; la principessa Dulsca, il gesuita e l’incognito guidano la mia barca a buon porto. Per le loro mani mi pervengono le istruzioni e i consigli dei re. Questi sono secreti molto gravi per il tuo petto. Ora sei paga? Ti senti sollevata?

Maria. Sarai dunque re delle patrie contrade. Oh! come converrà al tuo capo canuto la corona dei Zar!

Mazeppa. Piano; non è fatto ancor nulla. La rivoluzione si prepara; ma chi sa quale ne sarà l’esito?

Maria. Per te non temo. Sei così potente! Non ne dubito; il trono ti aspetta.

Mazeppa. E se fosse il patibolo?

Maria. Ebbene, ci andremo insieme. Come potrei sopravvivere a te? Ma no; tu porti le insegne dei principi.