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pultava. 237

rito, fa la rassegna delle sue truppe decimate. Lo seguono i suoi generali. Sta immerso in profonda meditazione. Il suo aspetto esprime l’agitazione che gli sconvolge il cuore. Diresti che la guerra desiata ha tolto a Carlo il senno e la ragione. Fa un gesto colla destra, e immantinente li Svedesi assaliscono i Russi.

E l’esercito dello Zar marcia contro a quello del re, in mezzo a un velo di lampi e di fumo. Incomincia la battaglia, la battaglia di Pultava!

Nell’incendio della lotta, fralla grandine rovente dei proiettili, le falangi si urtano come muraglie vive, cadono al suolo disfatte, son supplite da altre fresche, che anche esse vanno tosto a mordere la terra. Le baionette s’incrociano. Li squadroni vestiti d’acciaro volano come nembo procelloso. Risuonano le briglie, le sciabole; i cavalieri s’aggrediscono con furore, si tagliano a pezzi. Le palle di metallo accatastando cadaveri su cadaveri, rimbalzano, rugghiano, sbranano, rotolano nella polvere, e bollono nel sangue. Li Svedesi, i Russi, rovesciano, trafiggono, trinciano, mielono. Da per tutto, rombo di tamburi e di cannoni, urli, gemiti, calpestii, nitriti; dappertutto la morte e l’inferno.

In mezzo alla confusione e al tumulto, i capitani contemplano tranquillamente la battaglia, giudicano ogni evoluzione di truppe, predicono la perdita o la vincita d’ogni assalto, e ragionano fra sè a bassa voce.

Ma chi è quell’eroe canuto, ritto accanto allo Zar? Sostenuto da due Cosacchi, acceso di sublime emulazione, osserva con occhio esperto i movimenti