Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/55

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14 il prigioniero del caucaso.

straniero, appena aveva essa la forza di trarre il fiato. Il prigioniero rialzandola gentilmente da terra così parlolle: ”Non piangere, o infelice! Anch’io provo gli oltraggi dell’avversa fortuna e i rigori dell’indifferenza. Amo, e non sono amato.... amo solo, soffro solo, e passerò da questa vita qual sinistra meteora che si dilegua nella valle deserta.... Morrò lontano dal lido a me caro; queste steppe mi saran sepoltura.... e il ferro di queste catene righerà le mie ossa esiliate....”

Le lampade della notte s’offuscano; i monti mitriati di candida neve si illuminano dalla parte d’oriente, i due sventurati si separano in silenzio colla testa bassa e gli occhi appannati dal pianto. Da quell’ora in poi, il prigioniero scoraggito si diede a vagar solo intorno all’aúl. L’aurora succede all’aurora; la sera sussegue alla sera; egli sospira la libertà, ma non l’ottiene. Se guizza una camoscia fra i burroni, se un daino balza fralle nebbie, egli scuote i suoi ceppi e mira attorno, credendo sentire il Cosacco che sen viene furtivamente ad assalire l’aúl, e a liberare i Russi ivi detenuti. Chiama.... ma nessun risponde, e non ode altro suono che il mormorío delle acque e lo strisciar delle fiere, le quali, all’avvicinare dell’uomo, si rintanano nelle loro buche.

Un giorno, il Russo udì muggire nelle gole dei monti il grido di guerra circasso: i cavalli! i cavalli! Quindi un correre, un urlare confuso nell’accampamento, uno strascicar di bridoni, un nereggiar di burche, un luccicar di corazze, un nitrir di cavalli.... tutto l’aúl parte per una spedizione. Gli indomiti alunni di Marte precipitano a guisa di cataratte dalle