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46 | li zingari |
incontra altro che le fredde coperte: — la sua consorte è lungi. — Solleva il fianco fremente e ascolta; nulla ode; la rabbia lo divora; fiamma e gelo gli scorrono per le vene; balza dal letto, esce dalla tenda, vaga intorno ai carri; i campi tacciono, tutto è silenzio e tenebre. La luna s’asconde fra i vapori; le stelle spargono una incerta luce. — Alecco scorge alcuni levissimi vestigi sull’erba rugiadosa; li segue impaziente, e lo guidano al tumulo. Sull’orlo della strada una tomba biancheggia in lontananza; ivi conduce egli i vacillanti passi, con un presentimento tetro; le sue labbra tremano, tremano i suoi ginocchi. — S’avanza, e a un tratto — è un sogno? — vede presso a sè due ombre, e ode sulla tomba un mormorío profano.
Prima voce. Io mi parto.
Seconda voce. Ferma, amor mio.
Prima voce. Bisogna ch’io mi parla, amico.
Seconda voce. Aspetta un poco; rimani sino all’alba.
Prima voce. È già tardi.
Seconda voce. Come sei timida in amore! Aspetta un minuto.
Prima voce. Tu mi perdi.
Seconda voce. Un momento.
Prima voce. Se mio marito si desta, e non mi trova....
Alecco. Già son desto.... Dove andate? — Non vi allontanate.... Stavate molto bene su questa tomba....
Zemfira. Amico mio, fuggi, fuggi!
Alecco. Férmati. — Dove vai, o gentil giovanetto? — Muori. (gli dà una coltellata.)