Pagina:Quando il re parla.djvu/7

Da Wikisource.
 
— 7 —
 


prontamente le vitali questioni che tenevano in forse la cosa pubblica. Le mie parole erano mosse da profondo amor patrio e da intemerata lealtà. Qual frutto ottennero?

I primi atti della Camera furono ostili alla Corona. La Camera usò d’un suo diritto. Ma se io aveva dimenticato, essa non dovea dimenticare.

Taccio della guerra fuor di ragione mossa dall’Opposizione a quella politica che i miei ministri lealmente seguivano, e che era la sola possibile.

Taccio degli assalti mossi a detrimento di quella prerogativa che m’accorda la legge dello Stato. Ma bene ho ragione di chiedere severo conto alla Camera degli ultimi suoi atti, e ne appello sicuro al giudizio d’Italia e d’Europa.

Io firmava un Trattato coll’Austria, onorevole e non rovinoso. Così voleva il bene pubblico. L’onore del paese, la religione del mio giuramento volevano insieme che venisse fedelmente eseguito senza doppiezza o cavilli. I miei ministri ne chiedevano l’assenso alla Camera, che, apponendovi una condizione, rendeva tale assenso inaccettabile, poichè distruggeva la reciproca indipendenza dei tre Poteri, e violava così lo Statuto del Regno. Io ho giurato mantenere in esso giustizia, libertà nel suo diritto ad ognuno. Ho promesso salvar la Nazione dalla tirannia dei partiti, qualunque siasi il nome, lo scopo, il grado degli uomini che li compongono.

Questa promessa, questi giuramenti li adempio disciogliendo una Camera divenuta impossibile; li adempio convocandone un’altra immediatamente; ma se il Paese, gli Elettori mi negano il loro concorso, non su me ricadrà oramai la responsabilità del futuro, e ne’ disordini che potessero avvenire non avranno a dolersi di me, ma avranno a dolersi di loro.

Se io Credetti dover mio il far udire in quest’occasione parole severe, mi confido che il senno, la giustizia pubblica conosca ch’esse sono impresse al tempo stesso d’un profondo amore de’ miei popoli e dei loro veri vantaggi, che sorgono dalla ferma