Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/115

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palla di cannone, colta una ruota di un pezzo, non avesse morto uno e ferito alcuni degli uomini suoi.

A questo don Michelangelo Caetani, che era tuttora lì, osservò motteggiando non esser la guerra cosa divertente e senza precipitazione se ne andò per i fatti suoi.


Nel frattempo i nostri avean ripreso il casino dei Quattro Venti. Poco dopo, mi recai sulla sinistra della porta, donde scorgevo le mura del casino. Di là, così, mi fu dato di accorgermi che quatti quatti i Francesi erano per riprenderselo dal fianco. Fui dei primi ad avvedermene ed a sparare addosso ai francesi assalitori. Ecco che sopraggiunse l’Annibali, quello stesso di Vicenza, e quasi forsennato mi taccia di traditore, chè tiravo sui nostri. Io vivamente gli risposi:

— Miserabile!... Apri gli occhi se la paura te lo permette...

Egli mi rispose vibrandomi una baionettata, che io parai gridandogli:

— Fermo!... Ho un’idea!... Andiamo assieme al casino dei Quattro Venti a trovare il vero nemico.

Questa idea domò la bestia.


Prima di far la nostra sortita, presso la porta vidi Garibaldi e gli comunicai il nostro proposito. Ed egli a me:

— Tutti si battono. Ma, se voglio tre uomini per dirigere un’azione, non li trovo!...

Usciti dalla porta, Annibali ed io infilammo uno dei cancelli di Villa Pamphili. Impossibile però ci era di andar diretti per il viale tanto era battuto dalle palle che venivano dal casino. Attraversando le mortelle, voltando a destra, trovammo che il muro lungo la strada maestra era tenuto dai nostri. Cioè dalla linea pontificia, la quale tuttora vestiva all’austriaca, col prosaico giacò dal piatto largo e sopra il pompon. Questi soldati tranquillamente tiravano contro il casino Valentini; sotto il parapetto vi era una linea di morti, che continuamente crescevano di numero.

Ad un tratto sentimmo un gran scalpitio per il viale. Era lo