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Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/143

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Un bel giorno venne da me Alessandro Castellani e mi portò una sacca da notte piena di cartucce che dovevo custodire. Con lo stesso mezzo me ne portò altre. In tutto mi furono affidate undicimila cartucce.

Molti dei ricercati dalla polizia pontificia e da quella francese vennero da noi messi in salvo, facendoli passare fuori degli Stati del Papa, fornendoli di mezzi di trasporto, di denaro e di ogni altro mezzo occorrente, come di falsi passaporti.

Io mi mantenevo in relazione con tutti i nostri fuggiaschi; i quali vivevano sparsi nei boschi e nei monti intorno a Roma. Un giorno li radunammo tutti quanti ad un gran pranzo sulla cima del Monte Gennaro. Avevamo molti modi di corrispondere a distanza; fra gli altri una cornetta da caccia con squilli e con ritornelli convenzionali noti a noi soli.

Tutti i fuggiaschi per rifornimenti, corrispondenze ed ogni altra occorrenza della loro vita da banditi, facean capo a San Polo dei Cavalieri piccolo paese sopra Tivoli. Tale paese era stato scelto per questi scopi non solo per la felicissima sua ubicazione ma, più ancora, per i sentimenti liberali e l’assoluta fedeltà di tutti quei paesani. Quando si era trattato di dare il voto per la Repubblica tutto quanto il paese, uomini, donne, vecchi, bambini andarono in massa al capoluogo, Tivoli, dove erano le urne del plebiscito.

Per almeno tre anni questi bravi montanari protessero da sbirri e gendarmi, tra i loro monti, riuscendo a salvarlo dalla cattura, Massimino Trusiani.

Il paese, a forma di pina, sul cucuzzolo di un monte, li favoriva; inoltre gli accorti paesani, per garentirsi da sorprese, tenevano tutto intorno al paese stesso come una catena di cani. E questi abbaiando davano l’allarme; talchè a Trusiani ed agli altri ricercati bastava fuggirsene dalla parte opposta a quella da cui i latrati segnalavano l’approssimarsi dei gendarmi, mettendosi in salvo nei boschi che coprivano Monte Gennaro.