Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/146

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doni. La mia esistenza in Roma era quasi ignorata. Facevo la vita dell’artista ed assai spesso mi trovavo con artisti forestieri. Il più del mio tempo lo trascorrevo a lavorare in campagna sul vero; mai apparivo nei pubblici passeggi, nè mai mi si vedeva nei teatri e nei caffè. Tutti mi credevano tuttora in famiglia a San Francesco a Ripa.

Ma qualcosa contro di me, in quei giorni, la polizia deve aver macchinato, perchè allora il cardinale Antonelli ebbe a dire a persona intrinseca della mia famiglia:

— Guardate un po’ a che siamo arrivati.... I giudici del processo Grandoni han domandato l’arresto del fratello di Antonio Costa!...

Credo, infatti, fosse mio fratello maggiore Antonio, — il quale era una delle personalità più importanti di Roma ed al governo papale grata quanto utile persona — ad agire presso lo stesso cardinale Segretario di Stato per evitare il mio arresto. Se a me, in tanti rivolgimenti e fra tante persecuzioni contro tutti coloro che aveano sostenuta la Repubblica, non capitò male, per non poco lo dovetti alla influenza della mia famiglia ed alla considerazione in cui essa era tenuta. I miei numerosi fratelli erano in ogni campo attivissimi, aveano mano e primeggiavano in tutte le maggiori imprese ed iniziative. In Roma e nello Stato Romano erano, per tutto questo, assai potenti.


Ma ciò, naturalmente, non poteva fare che io, per ben due anni, non venissi del continuo esaminato sul conto dell’assassinio del ministro Rossi.

Riguardo a Grandoni io dissi la verità quale ho narrato.

Durante l’istruzione del processo mi capitò uno strano caso. Quel tal Mazza che nel collegio di Montefiascone mi avea dato quelle tali pedate, mai da me dimenticate e ch’io avevo sempre, da allora, guardato di traverso, me lo ritrovai nel processo, accanto al giudice istruttore. Figuratevi come io rimanessi a vederlo a quel posto. Quell’anima trista aveva sulle