Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/158

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Dato questo scandalo, altro non rimaneva da fare, per parte nostra, che farle nominare due tutori; i quali, poi, la misero in un convento di monache. Essa, non cessando le sue stranezze isteriche, accusava le povere monache di cose enormi. E fortuna per esse che mia sorella domandò di andare ad abitare in casa di povera gente a Porta Settimiana in Borgo. E quivi stando seduta con le «minenti», su i gradini della porta di casa, non la finiva più di impietosire di sè i passanti col racconto delle immaginarie infamie di cui essa diceva essere vittima per parte dei suoi crudeli fratelli.

Avendo di queste dolorose vicende famigliari parlato i giornali, giuntane notizia in Francia, un tenente dell’Esercito Francese chiese ed ottenne di essere trasferito al corpo di occupazione a Roma. Venuto quà si sposò questa infelice mia sorella Angela. La bastonò; distruggendone gli averi la ridusse in miseria, la rese madre di due bambine. Trasferito di nuovo in Francia, essa morì di maltrattamenti a Perpignan.

La poveretta, in tutte queste sventure, si condusse angelicamente con quel suo bestiale marito. Tanto che, quando venne portata al sepolcro, ebbe dalla popolazione di Perpignan dimostrazioni di generale rimpianto e di venerazione.


Lasciando questo tanto triste argomento torno a dir della mia vita di artista, che, in quegli anni prima del ’59, fu sì lieta ed intensa.

Nel 1853 presi parte alla famosa Festa degli Artisti a Cervara, che, a quel tempo, assumeva le proporzioni di.avvenimento della vita romana. Io vi andai indossando un’antica armatura di vero acciaro e montando un vivace cavallo andaluso, avente per gualdrappa una ampia pelle di tigre.

Alle nove del mattino la numerosissima e gaia cavalcata faceva alto al di là del Ponte Nomentano per far colazione. La massima parte degli intervenuti era montata su asini, essendo l’asino la classica bestia di questa celebre cavalcata annuale degli artisti di Roma.