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A Wetley Abbey io rimasi tre mesi. Alla fine di questi Mason era tutt’altro da quello ch’io avevo trovato al mio arrivo. La sua salute era molto migliorata; ed avea del tutto vinto quello scoramento nel quale lo aveano piombato la malattia, la solitudine e le difficoltà di danaro.

Io non volli lasciar il mio caro amico senza compire, meglio che potessi, l’opera di soccorso in un avverso momento della sua vita. Lo invitai a venire con me a Londra ed a Parigi, affinchè egli potesse avvantaggiare sè e l’arte sua con i fecondi contatti con i più forti talenti dell’epoca che rivolgevano i loro sforzi a spingere più in alto l’Arte contemporanea.

Dopo un soggiorno di alcune settimane nelle due città, Mason mi lasciò a Parigi — dove ero riuscito a volgere anche in suo profitto la simpatia con la quale gli artisti francesi aveano accolto me l’anno prima — e, pieno di vitalità e di propositi di lavoro, tornò a Wetley Abbey.

Così veniva restituito, dopo la grave crisi attraversata, alla famiglia ed alla gloria della pittura inglese del XIX secolo uno dei più fini e profondi artisti di quest’epoca. Giorgio Mason ebbe ancora alcuni anni di feconda attività. Ma il male che lo afflisse lo portò via, purtroppo, in età ancor verde senza aver potuto dare all’Arte tutto quanto egli avrebbe, vivendo, indubbiamente dato; e senza, pure, avere ancora assicurato la sorte della sua famiglia.

Ma a questa provvide il gran cuore di Federigo Leighton. Il quale, radunato tutto quanto — quadri, bozzetti, studi, disegni, schizzi — Giorgio Mason avea lasciato del suo lavoro artistico, mercè l’influenza e la simpatia delle quali egli godeva nel suo gran paese, riuscì a vender bene ogni cosa. E così potè mettere assieme una somma bastevole ed assicurar l’agiatezza alla vedova ed ai figli del lacrimato amico.

Quando, anni dopo, mi nacque la prima figliuola e Federigo Leighton volle esserle compare, ad essa imponemmo il nome di Giorgia, in memoria del più caro amico e fratello d’arte della mia fuggita giovinezza.