Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/315

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E poi, additandomi, sospiroso, il suo pollaio vuoto, aggiunse:

— Dove son passati Garibaldi con i suoi uomini non rimangono più polli!...

Argomentai subito che Garibaldi fosse salito a prender posizione a Monterotondo. E, per sentieri traversi, mi avvicinai a quella volta. Strada facendo venni a sapere che pattuglie di Zuavi Pontifici e di Francesi eran state ripetutamente viste in quelle vicinanze. Il che mi diede la certezza che il giorno dopo sarebbesi attaccato Garibaldi. E questo accrebbe la mia ansietà di presto raggiungerlo.

Arrivai a Monterotondo che già da un pezzetto s’era fatto buio. Nella casa Salvatori trovai lo Stato Maggiore di Garibaldi, tra cui Agostino Bertani e Giuseppe Guerzoni, che stavan cenando. Molto calorosamente accolto da tutti, mi venne fatto posto a tavola. Allora cavai fuori tutto il ben di Dio di cui mi avea provveduto mia nipote, tra l’altro un molto grosso rocchio di vitella arrosto assai festeggiato da tutti. E di invitato divenni anfitrione.

Mangiando detti agli amici le novità di Roma, dissi quanto avevo raccolto circa i Francesi di De Failly, giunti a Roma da due giorni; espressi la mia convinzione che questi con i Papalini avrebbero attaccato il giorno dopo; e, con molta insistenza, domandai di vedere al più presto il Generale. Questo alloggiava nel palazzo baronale dei Principi di Piombino ed era per andarsene a letto. Mi accolse con molta cordialità. E, prima ancora che io potessi profferire una sola parola, mi disse:

— Bravo Costa!... Vi riprendo nel mio Stato Maggiore, come nel ’49.

Io avvertii subito Garibaldi dell’imminente pericolo di essere attaccati il giorno dopo. Ed egli mi disse che al domani egli avrebbe lasciato Monterotondo con tutta la sua gente, per andare a Tivoli a congiungersi con la colonna di Giovanni Nicotera che già l’aveva occupata.

Non avevo potuto, alla prima, farmi intendere dal Generale.