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Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/342

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a me, che vi dimorai a varie riprese per qualche tempo, ricordava quella della Locanda Martorelli all’Ariccia e quella di Marlotte. A Castiglioncello si unirono all’antica compagnia del «Caffè Michelangelo» altre giovanissime reclute. Ricordo, fra queste, Beppe Abati e Sernesi. Notevole Beppe Abati, giovane meridionale che era venuto a Firenze a studiar pittura; e là unitosi, per simiglianza di sentimento d’arte, ai «Macchiaioli» veniva anch’esso a Castiglioncello dove soleva fare lunghissime dimore. Egli, tuttora ineducato, dava gran promesse di sè. Castiglioncello gli fu fatale. Rimastovi quasi solo a lavorare, venne morsicato dal cane di un contadino. Assorto nella sua pittura, non vi fece alcun caso. Gli si sviluppò l’idrofobia. Condotto a Firenze, in breve vi moriva fra gli spasimi più atroci.

A Castiglioncello io non trovai le ispirazioni artistiche che mi avean dato la costa del mare presso Roma, la Campagna Romana, Bocca d’Arno, e che trovai più tardi, a Lerici ed a Perugia. Ma pure vi dipinsi di buona lena e vi vissi la vita che a me, sempre, più è piaciuto di vivere.


Anche la mia vita cittadina in Firenze era laboriosa e piena. Amici non mi facevano difetto in quella città. Non di rado ve ne capitavano da Roma, che mi portavano lettere dei rimasti e notizie di quanto vi avveniva. Pur fuori di ogni attività politica, io aveva sempre orecchie tese ed occhi aperti su quanto riguardava la mia città.

Anche amici stranieri capitavano a Firenze; e vi venivano o ci si fermavano per vedermi e trattenersi con me. Ricordo, fra costoro, Richmond, Giorgio Howard venuto per dipinger meco e, più volte, il mio Federico Leighton.

Leighton prese l’abitudine, conservata poi fino all’ultimo anno della sua vita, di venire ogni anno per alcune settimane in Italia. Si sarebbe detto che egli, che ancor fanciullo aveva forse in Italia — ove stette, a quell’età, assai a lungo con la madre sua — sentita la prima vocazione per l’Arte, sentisse il