Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/347

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bisogno di tornar spesso ad abbeverarsi a questa massima fonte di ogni maniera di inspirazioni artistiche.

Quando egli venne fatto Presidente della «Royal Academy» avea per obbligo di leggere, ogni due anni, un discorso agli accademici riuniti; questo discorso egli costumava venire a scriverlo, fra il Settembre e l’Ottobre, in Perugia all’Albergo Brufani, ogni volta nella stessa camera da lui preferita, che avea cura di prenotare alcune settimane prima per il giorno stabilito del suo arrivo.

Queste settimane, che egli passava più qua più là in Italia, impiegava a dipinger studi di teste, di paese, ovvero studi e disegni di particolari per quadri che avea in lavoro; ovvero andava a rivedere le opere da esso predilette dei nostri antichi maestri.

L’ultima volta che l’amico mio dilettissimo dipinse in Italia fu in Roma, nel tardo autunno del 1895, pochissimi mesi prima della sua morte, nel cortile del Palazzo Odescalchi in Prati; fu soggetto di questo suo studio un bacile di rame lucido pieno di melagrane ben mature che posava su di un antico capitello. E lo dipinse con grande maestria, con quella sua foga da giovine, con tanto vero piacere, quali solo i veri artisti anche maturi possono provare.

Tali sue annuali dimore in Italia terminavano sempre con un piccolo viaggio di tre o quattro giorni, per andare a rivedere luoghi od arte che preferiva. lo gli era immancabilmente compagno in questi pellegrinaggi: od era Firenze dove Masaccio al Carmine avea sempre una nostra visita, od era Siena per Pinturicchio e per Duccio; era Mantova per il Mantegna, era l’Umbria, Orvieto, Venezia.... Il programma, preciso in ogni suo dettaglio, di queste nostre corse artistiche, egli mi scriveva vari giorni prima. Nulla vi mancava: il punto del nostro ritrovo, le ore delle partenze e degli arrivi, i nomi degli alberghi, l’impiego delle nostre giornate. Il tutto spiegato in festevoli lettere scritte nel miglior italiano toscaneggiante; ma non già quel dei libri o dei vocabolari, sibbene quello vivo del popolo. E così conosceva, pure, qualche po’ dei nostri dialetti. Quest’uomo