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προκνημὶς, secondo Polibio, maestro non men competente del primo (Polib. H. R. VI, 469. Amstel. 1670), faceva forza conchiudere che alla romana milizia nè di mare, nè di terra, quelle armi non appartennero.
Lasciando stare adunque l’argomento dei simboli siccome non meno inefficaci a noi di quello che abbiamo dimostrato esserlo ad altri, entriamo piuttosto a definire l’uso dell’edifizio dalla qualità di esse armi, che in tanta copia vi furon rinvenute, poi da altre osservazioni non meno opportune, che ci vengon somministrate assai utilmente dal giornale di quegli scavi.
Tolta di mezzo la romana milizia, per l’invitta testimonianza di due gravissimi storici Arriano, e Polibio, non resta se non invocare l’autorità dei monumenti, che nella quistione presente abbiam veduto essere sì d’accordo cogli scrittori. Monumenti adunque che diano egualmente elmi con le visiere, e doppio gambale ad una condizione di persone io non conosco se non i gladiatorii. Escludo quì, come ognuno può avvisarsi, l’alta età della Grecia, che non può allegarsi per l’epoca dei monumenti di che disputiamo, escludo per la ragione medesima la celata, che i cavalieri romani usavano negli esercizii loro (Arrian. l. c.). Lungo sarebbe il noverarli tutti, e basterà solo richiamare alla memoria le tavole aggiunte al
zupano cf. Scheffer ad Arriani Tact. p. 77.); e che io anzi aggiungo alle autorità arrecate dai contraddittori, ai quali aveva pur risposto lo Scheffer (ad Arriani Tactica p. 113, Upsal, 1664).