Pagina:Raccolta di rime antiche toscane - Volume primo.djvu/121

Da Wikisource.

121

XXI.


Qual uomo si diletta in troppo dire,
Tenuto è da la gente in fallaggio:
Spesse fïate giova lo tacire;
Chi troppo tace tenuto è silvaggio.
A la stagione è senno a sofferire;
E chi troppo s’umilia non è saggio:
Scarserza face l’uomo arricchire;
Troppa scarsezsa fa talor dannagio.
Dunque misura ci conviene avire
In tutte cose, ch’ave l’uomo affare;
Che tutt’or nuoce fare oltra misura;
Che per ventura puote tanto s’ ire
La cosa poi, ch’è grave a ritornare:
E se non fa con senno poco dura.


XXII.


La dolorosa mente, ched io porto,
Consuma lo calor, che mi sostiene:
Sì ch’io non aggio membro, se non morto
Fuorchè la lingua da lo cor si tiene:
E questa parla per contar lo torto,
Lo qual mi face Amore, e non s’attiene:
E dice, oh lassa! fuor son di conforto;
Che d’ogni parte disciolto ho il mio bene:
Sol per servire Amor coralemente,
Sono giunto del tutto a non podere,
Sì come quegli, ch’a lo foco è tratto:
Ed io dolente vivo in foco ardente,
E perdo la potenza, e lo sapere:
In martir si discioglie ogni mio atto.

Q