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XXXIII.

a m. onesto bolognese.


Credo saprete ben, Messer Onesto,
Che proceder dal fatto il nome sia:
E chi nome prende rispetto d’esto,
Che concordevol fatto a nome fia.
Che rame, se lo nomi, io ti so d’esto,
Ed auro rame anco nel falso stia,
E s’è dunque così, Messer Onesto,
Mutarvi nome, ovver fatto vorria.
Siccome ben profeta, o uom nomando,
Mercede mia tanto ho guittoneggiato,
Beato cento voi tanto onestato.
Vostro nome, Messere, e caro, e onrato,
Lo mio assai ontoso, e vil pensando,
Ma al vostro non vorrei aver cangiato.


XXXIV.


Quanto più mi distrugge il mio pensiero,
Che la durezza altrui produsse al mondo,
Tanto ognor, lasso! in lui più mi profondo;
E col fuggir de la speranza spero.
Io parlo meco, e riconosco in vero,
Che mancherò sotto sì grave pondo:
Ma ’l mio fermo disio tant’è giocondo,
Ch’io bramo, e seguo la cagion, ch’io pero.
Ben forse alcun verrà dopo qualch’anno,
Il qual, leggendo i miei sospiri in rima,
Si dolerà de la mia dura sorte:
E chi sa, che colei, ch’or non m’estima,
Visto con il mio mal giunto il suo danno,
Non deggia lacrimar de la mia morte?