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Pagina:Racconti sardi.djvu/132

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con una lontana reminiscenza della sua pronunzia nativa, ma conservava il costume del suo paese quasi tutto nero, coi calzoni di orbace bianco stretti, un po’ laceri e sporchi.

Dacchè aveva scoperto la cantoniera e s’era innamorato della piccola figlia di zio Gavinu, Jorgj Tiligherta si lavava il viso e le mani e cercava di pulirsi, ma ciò nonostante rimaneva nero come il demonio e i suoi scarponi e la sua berretta esalavano sempre un profumo pastorale poco voluttuoso.



E Nania non si vedeva ancora. Mille brutti pensieri agitavano lo spirito irrequieto del giovine pastore, facendosi più dolorosi a misura che l’ombra della pertica si stendeva sull’erba fresca del ciglione.

Jorgj, con gli occhi semichiusi, restava impalato lassù, fissando acutamente l’estremità dello stradale, e nessun’anima umana passava attraverso l’immenso spazio della campagna circostante.

Nel dolce meriggio di aprile i boschi di soveri, di cui è coperta la selvaggia pianura, intricati di cisti, di corbezzoli, e di vepri, tranquilli e silenziosi, avevano nelle foglie fresche come il riflesso del cielo di un azzurro perlaceo, e si stendevano così a perdita di occhio, sino alle vanescenze dell’orizzonte, chiuso da montagne