Pagina:Racconti sardi.djvu/19

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una scaletta esterna si scendeva al cortile, e sotto cui si apriva appunto la vecchia porta della cucina.

La pioggia e il vento continuavano, ma Gabina era decisa a tutto: entrò nella camera vicina, apri il poggiuolo e scese, sfidando l’acqua che veniva giù furiosa dal cielo basso di piombo, e il rovaio gelato che imperversava nella notte.

Tremava come una foglia, ma aveva completamente scordato i fantasmi e i vampiri. Un’angoscia indicibile le stringeva il cuoricino e un presentimento orribile, superiore alla sua età, le diceva che giù in cucina doveva accadere qualche cosa. Oh, quelle voci che aveva sentito!..

In un attimo fu sotto la scala, al coperto della pioggia, davanti alla porta della cucina. Anche questa era chiusa, ma Gabina non picchiò per farsela aprire, benchè vedesse il bagliore del fuoco acceso nel focolare, attraverso la grande fenditura che rigava dall’alto in basso la porta.

Si accoccolò per terra e applicò l’occhio sulla fenditura.

Non temeva più, ma non voleva punto entrare in cucina perchè la mamma l’avrebbe certamente picchiata.

Il nonno e gli zii — tre uomini alti, robusti, bruni, il cui costume consunto e sporco rivelava una misera esistenza di lavoro continuo e faticoso, i cui occhi cupi e profondi narravano la triste storia di anime ignoranti non avvilite dalla povertà, ma turbinate da passioni tetre, ardenti e