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Pagina:Racconti sardi.djvu/90

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Ecco dunque l’ultima storia che egli ci ha raccontato, che molti non crederanno, e che pure è realmente avvenuta in questa terra delle leggende, delle storie cruente e sovranaturali, delle avventure inverosimili.

Era una notte di maggio del 1873. In una capanna perduta nelle cussorgias solitarie del villaggio di zio Salvatore, due giovani pastori dormivano accanto al fuoco semi-spento. Fuori, vicino alla capanna, le vacche dormivano nell’ovile di pietre e di siepe, e la luna d’aprile, tramontando sull’occidente di un bel roseo flavo, illuminava la campagna sterminata, nera, chiusa da montagne nude, a picco. — A un certo punto uno dei pastori si svegliò, e rizzandosi a sedere guardò se albeggiava. Visto che la notte era ancora alta ravvivò il fuoco, e, a gambe in croce restò un momento muto, immobile, tormentato da un pensiero; poi svegliò il compagno.

Erano entrambi bruni, simpatici e forti, ma il primo svegliato, che si chiamava Bellia, cioè Giommaria, era più alto e ben fatto, con una testa signorile che colpiva, e faceva chiedere se a chi apparteneva non era figlio di qualche ricco Don.

— Antonio? — chiamò, scuotendo il compagno per svegliarlo.

— Che c’è? Cosa accade?... — rispose Antonio, balzando a sedere inquieto e con gli occhi spalancati. — Che cosa c’è?..

— Nulla. Ti ho svegliato per dirti una cosa.