Pagina:Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi.djvu/426

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Bene si diportava frattanto nell’Ungheria superiore il general Souches, al quale settemila uomini di nuove leve avea mandato l’imperatore, con lui trovandosi altresì un sei o sette centinaia di ungheri. Il 4 di maggio prese egli Neitra, e il 13 di giugno Levenz; e quando si provò il nemico a racquistare quest’ultima città, egli, il maresciallo Heister e il conte Enea Caprara lo batterono a Czernowitz (a Szent Benedeck, dice il Mailàth), non perdendo essi de’ lor soldati se non 500 uomini tra morti e feriti, mentre di 6000 cadaveri di turchi andò coperto il campo, rimastovi ferito anche il bascià di Buda. Questa battaglia fu iniziata dal Caprara, che era a capo allora di 800 corazze e di altrettanti ungheri, nel computo de’ quali, se colse nel segno l’autore dell’opera delle Azioni de’ generali italiani, converrà correggere quanto da altra parte traemmo circa il numero degli ungheri che erano col Souches. A quest’ultimo generale spettando buona parte della gloria derivata da quella battaglia all’esercito imperiale, e perché esso, come avvertimmo solesse fare, ostentava indipendenza dal Montecuccoli, del quale i fautori suoi lo dicevano emulo; ne trassero argomento i nemici del nostro italiano a rinnovare le insidie loro contro di lui. Odasi intorno a ciò quello che al suo governo scriveva da Vienna il 27 di luglio il Federici, dopo che tre mesi innanzi aveva quasi giudicato da più del Montecuccoli il Souches: “Quanto s’applaude al Susa tanto si bestemmia il Montecuccoli che con 50.000 persone niente opera in Croazia, onde gode pasquinate continue con odio del popolo. Chi lo dice più uomo da penna che da spada, più poeta che soldato. La verità però e che non è così facile combattere l’armata del visir, come quella dei Valacchi e Moldavi che stanno saldi perché servono il Turco per forza”. Segue poi dicendo, che sarebbe grande sventura se il Montecuccoli per disperazione offerisse battaglia al visir; il quale, vincendo, occuperebbe tutto il paese, “onde i più prudenti pregan Dio che non si venga a questo cimento; essendo la cavalleria del visir