Pagina:Rapisardi - Poemi liriche e traduzioni, Remo Sandron, 1911.djvu/537

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Sogno? Fu breve il caro sonno, ond’io
     Mi tolsi al mal c’hai per retaggio avuto?
     Era pur così bello il sogno mio!

Seder pareami, come or son seduto,
     (O verità, nella tua fede il dico)
     Sovr’alto poggio, in gran pensieri e muto.

Ed ecco innanzi a me crolla il nemico
     Muro che alle mie ciglia il ver contende,
     E il destino dell’uom fammisi aprico.

Come libere van fuor dell’orrende
     Chiostre le note d’un virgineo canto
     Al cor che più le aspetta e le comprende.

Così redenti, in sodalizio santo,
     Sorgean gli umani ad un miglior pianeta,
     Ov’estranea la colpa e ignoto è il pianto.

Oh giocondi lavori, oh messe lieta
     Ch’ivi Amore apparecchia e l’innocente
     Cor che di pace e di giustizia asseta!

Rinnovellata di novella mente,
     Io vedea rifiorire all’aura nova
     Da’ puri solchi la vital semente;

In un pensiero, in una lingua a prova
     D’arme non già, ma d’arti utili e buone,
     Vincer gl’inciampi e oprar quanto più giova.

Libero e puro in su l’industre agone
     Librasi il Genio, a cui dan grido e forza
     Con amore e virtù, dritto e ragione:


Col dir soave la selvaggia scorzą,
     S’altra ne resti a la rifatta prole,
     Svelle da’ petti, ed a ben far li sforza.

Vien seco la Beltà, splendida al sole,
     Benigna dea, che de’ suoi rosei stami
     Lega i cori ed indía qual più la cole.

Sorgon l’Arti leggiadre a’ suoi richiami;
     E in generosa gara arditi e lesti
     Ardon gl’ingegni che parean più grami;

E siate buoni, ella dicea: funesti
     Son sempre i forti a cui bontà non ride:
     Son forti i buoni, e il mondo è sol di questi.

Qui non Dei, non eroi, non caste infide:
     Tutti eguaglia il lavoro; invida siepe
     Dall’altrui bene il tuo qui non divide;

Non bieca Ambizíon ch’umile repe,
     Finchè la preda agli altrui denti arrappa;
     Non ignavi che in ozio ingrassan l’epe;

Non vile industria ch’al poter s’aggrappa,
     E usureggiando il popolar favore,
     Il pan dovuto a’ faticanti attrappa.

Scevro d’ira, d’orgoglio e di livore
     L’uomo qui regna; unica legge a lui
     La libertà; solo dover l’amore....

Fu sogno? O generosa anima, in bui
     Secoli nata, ch’auspicando agogni
     Fra’ tuoi proprj tormenti il bene altrui,

A te, s’altro non puoi, giovino i sogni!


L’AVOLTOJO.


I.


     Che in altra età, sott’altro cielo io vissi,
Dubbio non è: dentro al mio cor di un’altra
Vita, vel giuro, i testimoni io reco.
Un cimitero solitario, ombrato
D’una selvetta armonfosa a’ vènti,
Fatta è l’anima mia sin da quel giorno
Che agli occhi miei rapidamente il sole
De la divina gioventù si spense.
Naviga su le fredde ombre la luna,
E profili a me noti e vaporose
Forme del suo placido lume imperla;
Flebile stuolo di notturni augelli,
Vegliano su le bianche urne i ricordi;
E ne’ visceri miei perpetuamente
Alato un mostro il rostro ingordo accarna.


II.


Tràtto non so da quali forze arcane
     A spíar de la Notte il seno orrendo,
     Solo, smarrito ne la selva immane,
     Su l’orlo de l’abisso io mi protendo.

Al fluttuare, al dileguar di strane
     Fantasime i miei sensi avido aprendo,
     Fragor d’opere e d’armi odo e tremendo
     Suon d’infinite sofferenze umane.

Quanto il supplizio durerà? Rimbomba
     Vano il mio grido, come in vacua tomba;
     Ghignan le Furie alla mia vita attorte:

Mentre con ritmo eternamente uguale,
     In volto di pietà, con immense ale,
     In fra la terra e il ciel passa la Morte.


III.


Tra ’l folgorío d’orgie fastose e il vampo
     Di memorie regali era cresciuta,
     Ma pura nel fumoso aer lucea
     L’anima sua come cristal di rocca;
     E ne la sua chiara beltà riflèsso
     Intravide il mio cor quanto possiede
     Di puro il cielo e di venusto il mondo.
     Nell’indagar l’indoli umane il senso
     Io non aveva, ond’ella era fornita:
     Uno spontaneo, acuto senso, un raggio
     Quasi, che penetrava i più convolti
     Labirinti dell’anime, ed un roseo
     Lume di tolleranza e di perdono
     Spargea clemente su gli umani errori.
     Di vivaci tentacoli guernita
     Era così l’anima sua, che al primo
     Tocco del mal si ritraea, non paga
     Tanto di sua virtù, quanto pensosa
     Degl’incauti che al male offríano il fianco.
     Gli occhi suoi piccioletti eran due neri
     Brillanti, che da un astro intimo accesi
     Decifrare sapeano a prima vista
     Le ornate sigle, i complicati nessi
     Del libro de la vita. Oh minfate
     Pagine che un bel di leggemmo insieme
     Anelando, esultando! Oh vaghi intrecci
     D’augelli e d’astri, d’angioli e di fiori;
     Dòmi di lapislazzuli, slanciati,
     Come l’anime nostre, in un ciel d’oro;
     Mistici segni, mistiche parole
     Rivelatrici dell’Enimma eterno,
     Fiaccole ne la notte! Una fiorita
     Tropicale di sogni, un gloríoso