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38 ricordi di londra.

Arrivato a Londra, andai all’abbazia di Westminster, la Santa Croce dell’Inghilterra.

Entrando in quella chiesa, se si fosse soli, si chinerebbe la fronte sui lastrico.

Un Panteon di quella natura è un immenso argomento di marmo in favore dell’immortalità dell’anima.

Appena entrati, si alzano gli occhi agli altissimi archi acuti delle vòlte, poi si girano sul popolo di statue che ne circonda. Là gli uomini grandi sono accalcati, si pigiano, si nascondono. Fatti i primi passi, s’incontra Pitt, Palmerston, Robert Peel: avanguardia degna della legione. In un canto, Pasquale Paoli. I simulacri delle glorie supreme sono frammisti a quei delle glorie minori, e invece di oscurarle le irradiano. È un Panteon divinamente democratico. I grandi principi dormono accanto ai grandi poeti. Vicino a Shakespeare v’è un pedagogo: Andrea Bell. Vicino a Newton, un portabandiere. Fra due ammiragli vittoriosi, Garrick, l’attore, che si presenta fra le cortine del palco scenico col sorriso sulle labbra. Fra una folla di ciambellani, di abati e di ministri, fra i quali si passa indifferenti, s’incontrano le immagini care e gloriose che fanno battere il cuore, come amici ritrovati in un paese sconosciuto: Gray, Milton, Goldsmith, Thomson, Tackeray, Addison, e l’ultimo, amato e compianto come i più grandi, Carlo Dickens. In mezzo ai capitani famosi che insanguinarono il mare e la terra, splende la gloria intatta e serena dei grandi benefattori: gli apostoli dell’abolizione della schiavitù; Hanway, il filantropo; Wintringham, il medico; James Watt, l’inventore della macchina a vapore. Accanto alla grandezza sfolgorante del genio, la grandezza austera delle anime integre, dei caratteri indomabili, delle lunghe vite spese in lavori pazienti e in sacrifizi ignorati. Ma che diversi pensieri in quelle cappelle rivestite di meravigliosi ricami di pietra, dove si cammina fra i sepolcri dei principi, tra i ricordi della potenza e delle sventure di sette schiatte di re!