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dialetto romano, vale a dire nel pretto linguaggio dei Trasteverini. Francesca da Rimini vi è travestita, o per parlare con più esattezza, è ridotta Trasteverina. Sarebbe come se si recitassero l’Ifigenia di Goethe in basso tedesco, od il Faust, nella traduzione in lingua volgare fiammingo di Bleeschauer. Notiamo con piacere che non sarebbe possibile in Germania rendere per tal modo ridicola una tragedia classica. Non sarebbe fattibile trovare un teatro, per quanto piccolo e meschino, il quale si arrischiasse a presentare al pubblico, per cagion di esempio la Maria Stuarda, ridotta a parodia. Le tragedie presso di noi non diventano ridicole che qualche volta, quando sono male rappresentate; ma non si fanno mai tali, con animo deliberato.

Sul teatro di piazza Navona tutto contribuiva a rendere lo spettacolo ridicolo, il linguaggio adoperato dagli attori, ed il loro modo già per sè cattivo di recitare, particolarmente della Francesca. Mentre recitavano seriamente le parti loro in quel dialetto ridicolo, convertivano per così dire il coturno in pantofole. Il vecchio Guido da Polenta si era fatta una gobba, e recitava con brache di velluto, in maniche di camicia quale un Mascalzone. L’infelice Francesca aveva un aspetto esuberante di salute, da fare invidia a qualunque serva di campagna, Lanciotto e Paolo avevano l’aspetto di due volgari attaccabrighe. Recitavano però tutti con tutta serietà, seguendo l’originale passo a passo, se non che i pensieri elevati della tragedia non erano ridotti in dialetto soltanto, ma trasformati nel senso, non meno che nella forma. Era sempre la stessa tragedia, ma ridotta in forza del diritto del carnovale ad una farsa; la scena della tragedia pure si era mascherata, facendosi i mustacchi col carbone.

Lo straniero che non comprende la differenza fra la lingua italiana ed il dialetto trasteverino, non ride che della parodia dei modi tragici; ma il romano, ride pure del dialetto. È un divertimento di carattere tutto locale. Allorquando il vecchio sire di Ravenna disse, per esempio, a