Pagina:Ricordi storici e pittorici d'Italia.djvu/27

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Sostiamo alquanto, imperocchè questo è un punto rimasto oscuro nella storia di Napoleone, e che merita essere considerato, come lo meritano tutte le risoluzioni presentatesi possibili ad un grande carattere. Si può dire che un nuovo avvenire fu ad un punto di sorgere, e del quale non si possono calcolare le conseguenze per l’Italia, durante la breve stanza di Napoleone all’isola d’Elba. Imperocchè quali sarebbero state tali conseguenze, se quest’uomo, Italiano desso pure, cessando dal volgere lo sguardo alla Francia, fosse comparso in Italia sotto nuovo aspetto, proponendosi di riunire le membra sparse di quella bella contrada, di ordinarla quale imperatore romano-italiano, sedendo in Campidoglio, a Roma, nella città eterna.

Non havvi dubbio che questo disegno venne formato; ma ad onta di tutte le più accurate indagini non fu possibile stabilire fino a qual punto Napoleone sia entrato in relazioni con i promotori della unità d’italia, i quali avevano il loro centro a Torino. Questo progetto, maturato dagli unitari italiani di creare dell’Italia una monarchia costituzionale colla capitale in Roma chiamandovi allora Napoleone a capo, non ha minori fautori oggidì, che nel 1814. Napoleone avrebbe dovuto essere imperatore a Roma; i re di Sardegna e di Napoli si sarebbero dovuti compensare con danaro; a Milano, Venezia, Napoli, e Firenze avrebbero dovuto avere stanza altrettanti vice re per dare soddisfazione agli umori propri municipali, e l’assemblea nazionale avrebbe dovute alternare la sua stanza in quelle varie città. Il Papa sarebbe stato ridotto ad un’ombra nulla più, della quale sarebbe stato facile, volendolo, sbarazzarsi. Tale era il progetto italiano che per la sua attuazione richiedeva una guerra, e la guerra dovevasi suscitare tra la Francia e Murat, il quale trovavasi tuttora a Napoli. Allorquando gli eserciti sarebbero stati di fronte l’uno all’altro, avrebbe dovuto comparire Napoleone, il quale fuori di dubbio avrebbe tratto a sè i soldati italiani e francesi, costringendo per tal guisa i Borboni a riconoscerlo.