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tecipare al lettore, che gli salvarono pure la vita. Imperocchè una volta che i nemici del santo gli apprestarono vivande avvelenate, i corvi le portarono via su per i monti. Mi pare del resto che il corvo di montagna sia animale addatto per monaci, ed in ogni caso attributo migliore che non il cane colla fiaccola in bocca, che tolsero a simbolo i Domenicani.

Havvi inoltre nel monastero un’altra località la quale richiama alla memoria i tempi antichi, o piuttosto un nome famoso. È questo un piccolo giardino fra gli scogli, tutto piantato di rose. Erano dapprima spine, e precisamente quelle nelle quali S. Benedetto si era rotolato nudo. Allorquando nel 1223 il famoso fondatore dell’ordine di S. Francesco visitò Subiaco innestò rose su quelle spine, le quali continuano a vegetare ed a fiorire. Col tempo si scoprirono a queste rose proprietà miracolose. Un monaco mi diceva con tutta serietà, che ridotte in polvere e tranguggiate, guariscono ogni infermità, e cacciano gli spiriti maligni. Il buon monaco non mi diceva se quelle rose possedessero pure la qualità presiosa di quelle di Apuleio, e non avrà del resto avuto campo di osservarlo.




F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. I. 19