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assistere alla festa della Madonna sul Mercato, la quale gode di riputazione quasi uguale a quella di Piè di Grotta. Ebbi pertanto occasione di vedere la famiglia reale e la corte, sia sul Mercato, sia per istrada quando facevano ritorno a palazzo. Il corteggio, composto di varie carrozze dorate, era splendido e faceva bella mostra sul Largo di Castello, mentre il palazzo reale, che avevo visto sempre muto e silenzioso, riacquistava aspetto di anima, di vita. Non udii un solo grido di viva il re! Le persone si levavano di capo il cappello, come sogliono fare pure, quando le campane suonano l’Ave Maria. L’aspetto delle truppe era bello; bellissimi particolaramente gli usseri con divisa pittorica a vivaci colori, e buonissimi cavalli. Assuefatto a non vedere in Roma che soldati francesi, mi fece piacere trovarmi di nuovo in presenza di truppe italiane. l Napoletani sono bei soldati, stupendamente vestiti, abbastanza istrutti, ma è facile vedere che non hanno di soldati che la sola apparenza, che sono comparse militari, e nulla più.

Si vedono a Roma per le strade, quale tratto caratteristico della città, corporazioni le quali si muovono in lunghe file, due a due, recando un po’ di vita in quelle strade silenziose e deserte. Sorvono a dare pure un’idea della vita interna del paese, retto e disciplinato tutto dai preti. Voglio far menzione delle principali di quelle comitive; sono lunghe file di monache, di frati, di ragazzi dei vari istituti, dei poveri orfanelli, degli allievi dei vari collegi, vestiti in rosso, in nero, in turchino, in bianco; delle confraternite della morte coi cappucci neri, di altre che lo portano verde, bianco, violaceo, finalmente pure file di militari. Non mancano neppure a Napoli tutto quelle comparse più o meno clericale, ma nell’onda continua di popolo vanno perdute, e sono meno visibili che a Roma. Si distinguono i militari, e più ancora i galeotti che camminano scortati da truppa incatenati due, a due, vestiti di vari colori, secondo la classe a cui appartengono per il delitto che hanno commesso; e non s’incontrano

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 11