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donna delle Grazie. Udivamo il rombo dei cannoni della sottoposta città, e quando fummo giunti presso al cratere ora spento del Somma, si sarebbe potuto credere che il volcano tuonasse tuttora all’interno.

Quando si contempla da quell’altura quella stupenda regione, quello splendido mare, si comprende che chi ne fu una volta padrone, preferisca la morte alla perdita della signoria. Così avvenne alle stirpe Sveva, a quella di Aragona, a Giovacchino Murat. Si può allora comprendere l’esclamazione, per dir vero, non guari ortodossa, di Federigo II imperatore, il quale diceva «che se il Dio d’Israello avesse veduta Napoli, non avrebbe vantata cotanto a Mosè la terra promessa.» Ci attendeva però un nuovo spettacolo più grandioso; non avevamo avuta ancora la vista del Vesuvio. Ci avvicinammo alla vetta del Somma, la quale è segnata al suo punto culminante da una croce in legno, e fatti ancora pochi passi sulla cresta sottile su cui camminavamo, ci trovammo tutto ad un tratto di fronte, e vicinissimi al volcano, che pareva balzare fuori allo improvviso; e non può esprimersi quale fosse il contrasto tra la vista delle pianure ridenti e fertili della Campania, e quella di quella regione arida, morta, sepolta tutta, sotto un denso strato di ceneri, di una cupa tinta grigia. Non è possibile esprimere con parole la profonda impressione prodotta dalla opposizione subitanea di quella molle imponente che fuma; si sarebbe detto un demonio uscito tutto ad un tratto dagli abissi dell’inferno.

Non havvi punto da cui possa il Vesuvio produrre un effetto uguale, come dal vertice del Somma, che quasi lo uguaglia in altezza. Quando si sale sopra quello per la strada di Resina, lo si vede dal basso in alto; qui invece lo si contempla dall’alto in basso, si può quasi guardare nel suo cratere, e lo si vede campeggiare in tutta la sua imponenza, sul tondo del cielo e del mare; inoltre si ha davanti agli occhi il cratere del Somma, colle sue pareti scoscese di lava, che scendono quasi perpendicolari. Co-