Pagina:Ricordi storici e pittorici d'Italia.djvu/673

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Vidi per la prima volta il paesaggio grandioso di Siracusa al momento in cui il sole stava per tramontare, illuminando tutta la contrada dal mare Jonio ai monti d’Ibla, di quelle tinte calde, le quali non si vedono che sotto il cielo di Sicilia. Non potrei esprimere con parole l'impressione che tal vista mi produsse. Neppure in cima all'Etna, di dove si scorgono l’isola tutta quanta, tre mari, le coste d’Italia, io non mi sentii scosso come nel vedere tra il profondo silenzio di una bella sera, questi ampii e morti campi di Siracusa. Gli spettacoli della natura parlano meno all’anima che la storia; dessi non hanno ricordi, e l’uomo non vive che per le memorie.

Ero arrivato dall’antica Leonzio (Lentini) patria del sefista Gorgia, sboccando sulla strada di Catania, e passando davanti alla deserta penisola di Magnisi, l’antica Tapso, e lungo il porto Trogilo (lo Stentino). Ivi s’innalza, circa un duecento piedi sopra il livello del mare un altipiano, che scende di ogni parte quasi a picco, della forma di un vasto triangolo, il quale ha per base il mare, e per vertice, entro terra, il monte Eurialo. Ivi sorgeva, occupando tutto l’altipiano, l’antica Siracusa, la quale scendeva fino all’isola di Ortigna, unita alla terra ferma per mezzo di una diga.

Giunto in alto, vidi l’ampio territorio della città, l’isola colla povera Siracusa d’oggidì, dalle due parti i due stupendi porti, ed a tergo il capo Plemmirio, paesaggio serio