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selvatici e le spine. Cicerone romano, che guidato dai Ciceroni siracusani e dalla traduzione municipale, va cercando fra i ruderi ed i roveti la tomba di Archimede, fa propriamente la figura di un qualche erudito archeologo od antiquario di Roma, o di Berlino dei giorni nostri.

Ci è forza rinunciare a trovare a nostra volta la tomba di Archimede; verrà giorno in cui si cercherà invano la località dove sorgeva quella di Humboldt. Se non chè dura imperitura la memoria degli uomini illustri, ed a buon diritto sclamava Pericle nella commemorazione degli Ateniesi caduti in guerra: «Agli uomini grandi, è tomba il mondo!» È pur grande l’attrattiva di queste tombe siracusane, in quella regione deserta, inondata di luce, e popolata solo di grande memorie! Sia nello stare seduto colà nel silenzio dello splendido mezzogiorno, o nella tranquillità dell’infuocato tramonto, sia aggirandosi fra quelle tombe che a centinaia a centinaia vi si aprono dinanzi, vi sorgono davanti, come ad Ulisse nell’inferno, le ombre di una stirpe di uomini più grande delle razze attuali, le ombre dei grandi della cara Grecia. Vidi più di una volta quelle tombe venerande e silenziose, animate. Stavano seduti sui loro gradini uomini e ragazzi, di povero aspetto, logori dalla febbre, con gli occhi infiammati, i capelli irti, coperti a mala pena di pochi cenci schifosi; leggevo nelle loro fisonomie la storia della moderna Sicilia, le sevizie della polizia borbonica, il predominio corruttore del clero, e l’animo mio amareggiato, non poteva a meno di prorompere in un’imprecazione tutt’altro che ellenica. Non verrà mai il giorno della liberazione di questa stupenda contrada! Che Iddio piuttosto la restituisca ai Saraceni!

Vi vorrebbe un novello Archimede per iscacciare colle sue macchine e ridurre in cenere tutto il pretismo ed il monachismo che infesta questa povera isola!

Se non che, ancora di una tomba mi resta a far parola. Non lontano dalla via dei sepolcri, in un giardino piantato di viti e di olivi, trovasi sepolto in una solitudine classica il nostro compaesano Platen.

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 22