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Poco di fè, poco d’amor s’apprezza
     Ricco tesor, quando Fortuna humile
     Vien, ch’à nobil desir fiera contenda;
Ed ei, ciò ti consoli, e ti difenda;
     Ch’erger il volo à gloriosa altezza
     Impresa non fù mai d’animo vile.


SONETTO XCVII.


H
Or che del Cielo il più bel lume è spento,

E che l’oscura notte il Mondo adombra,
     E i sogni, ò veri, ò falsi in mezo à l’ombra
     Scherzando van con passo e queto, e lento
Tu dormi; & io con doloroso accento
     Piango il martìr, che la trist’alma ingombra;
     Nè lagrima, ò querela il peso sgombra
     Del gravissimo mio fiero tormento;
E tù sonno crudel, perche ’l mio duolo
     Non oda il Sol, ch’à sospirar m’induce
     L’udito col veder chiuso li tieni.
De le tenebre figlio hor fuggi à volo,
     Tù nemico de’ rài puri, e sereni,
     Come soggiorni entro sì chiara luce?


SONETTO XCVIII.


M
A dimmi tù de’ miei pensier beàtrice

Vaga mia Dèa, come profondo è tanto
     Il sonno in te, che ’l mio doglioso pianto
     Non odi (ohime) qual Fato il mi disdice?
Già non dormon gli Dei (quant’alcun dice.)
     Disgombra dunque il tenebroso manto,
     Che vela i tuo’ bei lumi e ’l mesto canto
     Ascolta ò del mio mal prima radice;


E poi