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D’opporsi al Tempo (ahi) di che vana spene
     I Tempi, e gli Archi à quell’età s’armàro:
     Ecco al gran Tebro i marmi, onde s’ornàro
     Letto fanno disfatti hoggi in arene.
Tutto il crudel col ruginoso dente
     Frange, ed ancor la mortal messe in herba
     Con sua falce letal miete repente.
Ne le ruine tue Roma superba
     Ciò ben leggo io; ma s’ei tanto è possente;
     A che l’aspro mio duol non disacerba?


Alla Illustriss. & Eccellentiss. Sig.

D. MARFISA D’ESTE CIBO.

Marchesana di Massa, &c.


SONETTO CIII.


V
Ago di preda un Pescator sedèa

Sovra uno scoglio; e ’l cibo insidioso
     Turbando a’ pesci il dolce lor riposo
     Da la tremula sua canna pendèa.
Quand’ecco Amor, che di desìr ardèa
     Di novi scherzi, sotto l’onde ascoso
     Prendendo l’hamo, il pescator gioioso
     Di piacer falso il lusinghier rendèa.
Lo scorse intanto la gran Dea del Mare,
     E disse. ah parti Amor, che s’anco un poco
     Soggiorni, arder vedrassi il Regno mio.
Ed egli. non temer; perche quand’io
     Quì venni, entro le luci honeste, e chiare
     Di Marfisa lasciai tutto ’l mio foco.


SONETTO CIIII.


T
Rahendo i giorni in feri aspri lamenti

Misero i’ mi vivèa fuor di speranza,