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Gran Cesare de’ Franchi, veder parmi
Viè più d’un cigno à celebrarti intento;
E perche il nome tuo mai non sia spento
Segnar il veggio in novi bronzi, e ’n marmi.
E dritto è ben, ch’altri cantando scriva
Del tuo valor, perche spiegando l’ale
Securo passi à la futura etate;
Che non pon contrastar l’opre honorate
Col Tempo, se scrivendo huom non le avviva.
Ma qual fia penna à la tua spada eguale?
SONETTO CXIIII.
Ti mostri contra me cotanto altera?
Perche pur nieghi ah più d’ogn’altra fera
Al sì grave mio duol picciola aita?
Forse perche la guancia colorita
In cui fiorisce, e ride Primavera
T’empie di fasto? ò misera, ch’à sera
La gloria del mattin vedrai sparita.
Se credi perche Zefiro ne i campi
Desta dopo le brine i vaghi fiori
Debba destargli ancor nel tuo bel volto,
Semplicetta t’inganni, e s’hor m’avvampi,
Quando ’l tuo bello fia dal verno accolto
Agghiaccieran con lui del cor gli ardori.
SONETTO CXV.
Qui segnò ’l nome. quì pur dice Amore
M’arderà sempre per te Filli il core,
Io ciò pur leggo in mille piante, e mille.
Ed hor versa di pianto amare stille
Per altra Ninfa, ed hor l’empio Pastore
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