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     Ma quanti con quest’occhi io furo sguardi
     Tante offendonmi il cor fiammelle, e dardi.


SONETTO CXXXIIII.


Q
Uando le chiome havran perduto l’auro,

E le saette l’una, e l’altra stella,
     Non fia però Mirzia leggiadra, e bella,
     Ch’io trovi incontr’Amor posa, ò restauro.
Ma mentre il Sol n’andrà da l’Indo al Mauro
     A te sola ò mia vaga Pastorella
     Arderà ’l core, e fia quest’alma ancella,
     E sarai tù mia luce, e mio tesauro.
Che benche si rintuzzi, e spezzi il dardo,
     Che ’l fianco aperse, non perciò rallenta
     Il duol, non che la piaga in lui risalde;
Nè le fiamme d’amor, ov’io tutt’ardo
     Perche fia l’esca, che le accese spenta
     Sfavilleranno entro ’l mio cor men calde.


SONETTO CXXXV.


 

D
I lui, che ’n tanti nodi il cor m’avolse

In prato, in colle, in valle, in antro, in bosco
     Le ’mpresse orme leggiadre io riconosco
     Mentre seguirmi, ed hor fuggirmi volse;
E riconosco, ov’ei la lingua sciolse
     In parlar dolce, ed ove amaro tosco
     Spirò ne’ detti, e ’n pensier dubbio, e fosco
     Lasciò l’alma, che ’nvan pianse, e si dolse.
Ma ben ch’io veggia, ov’ei crude, e pietose
     Ver me girò sue luci, io de l’altero
     Accolgo sol le rimembranze grate.
Così Ninfa talhor, c’habbia pensiero
     Smaltar l’oro del crin, da piagge amate
     Trà mille spine sol coglie le rose.


MAD.