Ogni piacer andato hò sempre in mente;
Che le passate gioie
Non si scorda giamai fedel Amante.
Ecco l’altr’hier m’assisi
Sopra la molle herbetta,
Che di fiori ingemmata
Rende più vago il fonte,
Che da la sua chiarezza il nome prende;
E quivi tutti quasi innanzi à gli occhi
Mi ridussi i piaceri,
Ch’io v’hebbi teco, e quivi
Altrottanto infelice
Quanto felice fui.
In mestissimo suon versi cantai.
Mesto, ma però grato
A le selvagge Dee,
A i boscarecci Fauni,
A gli hirsuti Silvani,
A i Satiri lascivi, e ’n somma à quanti
Habitan boschi, monti, grotte, e valli;
Che tutti à i lagrimosi
Miei carmi ratti accorsero pietosi.
Ma tù benche i’ sia tale,
Che cantando, e scrivendo alzar io possa
Di Clori il nome à le dorate stelle
Non mi stimi; anzi cruda hor godi, poi
Che non m’inspiran più versi leggiadri
Le antiche Muse; ch’albergar non ponno
Trà tanti affanni; e già la stanca lira
Negletta pende, e le scordate corde
A l’ingiurie avanzate di Fortuna,
Mentre piangendo le miserie mie