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SONETTO XXXV.


O
Infausti habitator del cieco Averno

Le mestissime mie querele udite
     Fuor de’ profondi eterni horrori uscite,
     E correte al mio pianto, al duolo interno.
Più aspre entro ’l mio cor pene io discerno,
     Che giù non hà la tormentosa Dite.
     Spirti d’Abisso dunque à me venite,
     Se bramate habitar novello Inferno.
Lascia antico Nocchier gli oscuri chiostri,
     E i miei martir quasi Ombre disperate
     Porta per l’onde homai del pianto mio.
Voi compagni al mio duol tartarei Mostri
     L’acque nere di Lete hor mi recate
     Sì, ch’altrui ponga, e me stessa in oblìo.


SONETTO XXXVI.


D
I speme ingannatrice io nudria ’l core

Nel suo grave martir così beàto,
     Che ’n Amor non fù mai sì dolce stato,
     Che s’agguagliasse al suo gradito ardore.
Vita gli era ’l morir, gioia ’l dolore,
     E viè più d’ogni riso il pianger grato:
     Quand’ei l’inganno altrui vide celato
     Sotto sembianza di verace amore.
Così chi spiega Amor le ardite vele
     Ne’ Mari tuoi sotto le placid’onde
     Scogli trova d’affanni, e di querele?
Così trà le fiorite, e verdi sponde
     Per uccider altrui l’angue crudele
     Falso, ed empio Signor dunque s’asconde?


C     2          SO.