Pagina:Rime (Cavalcanti).djvu/35

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avesse altri sonetti, se non questa produzione molteplice ed isolata. Nè si può dire che ciò provenne dal fatto ch’egli eccelleva per ballate e canzoni e queste sole vennero riprodotte nei codici, chè così avrebbe dovuto avvenire pur del Cavalcanti, il quale toccò il suo massimo valore nelle ballate per forza di poesia e nella canzone filosofica per potenza dialettica e del quale alcuni codici riportano bensì rime soltanto delle più stimate, ma molti altri anche le meno valorose, fra cui molti sonetti. Esaminiamo quindi, esclusi gli altri, le ragioni che possono essere in favore del Cavalcanti, del quale la tendenza a trattare questioni filosofiche d’amore è provata da varie1 testimonianze oltre che da la celebre canzone e dai versi citati dell’Orlandi e dell’Alfani.

Nella storia dello stil novo vi è un lento passare da la prima e fredda convenzione d’amore al sentimento potente e soave dei poeti rinnovati. Questo passaggio si forma attraverso una trattazione filosofica e scolastica del sentimento d’amore. I primi poeti avevano detto che cosa l’amore fosse: il Guinicelli aveva detto dove esso si manifestava; Dante e Cino cantano invece il loro amore vigorosamente: il Cavalcanti, fra questi, lo trattò più freddamente prima e lo sentì fortemente, egli pure, più tardi, come appare da l’opera sua se si move da la canzone filosofica e si giunge a le ballate degli ultimi anni: in lui è un continuo mutare fra l’espressione filosofica e la espressione del sentimento veramente sentito. Ciò premesso, osserviamo i sonetti.

Nel primo l’Ercole trova un confronto:

I’ prego quel nel cui cospetto vene

con il dantesco

nel cui cospetto vene il dir presente

(Vita Nova, III).

e ne trae la conclusione che si tratti di un imitatore, che abbia rubacchiato qua e là versi ed espressioni di poeti famosi della scuola nuova. È un argomento che non regge, poi che fra le imitazioni ve ne sarebbero alcune relative a versi dell’Inferno dantesco2 e ad un sonetto certo non giovanile del Cavalcanti3; quindi

  1. . . . . . . liberalium artium peritissimus et speculativus.

    Filippo Villani: Cron. VIII, 4-2.

    . . . . . singolare filosofo . . . per que’ tempi era sommamente erudito nelle arti liberali.

    Leonardo d’Arezzo: Vita di Dante.

    . . . . . un de’ migliori loici che avesse il mondo et ottimo filosofo naturale.

    Boccaccio: Dec. VII, 9, e Commento a la Commedia, Lez. XI.

    . . . . . in ogni genere di speculazione esercitato, acutissimo dialettico, filosofo egregio e non poco esercitato nelle arti liberali.

    Landino: Comm. a la D. C.

    . . . . . in rhetoricis studiis delectatus, eandem artem ad rythmorum vulgarium compositionem eleganter traduxit.

    Filippo Villani.

  2. E qual è quei che volentieri acquista
    venuto il tempo che perder lo face. . . . .       Vedi il Sonetto VII del trattato.

  3. Novella ti so dire, odi, Nerone. . . . .