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Pagina:Rime (Cavalcanti).djvu/46

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cuore è gentile: infine segna il passaggio da la potenza in atto: una bellezza veduta dà origine al desiderio, il quale, fatto continuo, risveglia l’amore.

Il trattatista va contrariamente: determina l’atto senz’altro, indi stabilisce la qualità del soggetto: e parla soltanto di un pensiero, mentre Dante parla di un desio dentro al core che è gentile. Il primo sta quindi con m.° Francesco e vi aggiunge il portato filosofico del Guinicelli, l’altro move dal Guinicelli ossia da la nuova determinazione del subietto, mantenendo quella base di potenza continuata a formar l’atto, la quale pure il Guinicelli accettava nella canzone: «Con gran disio pensando lungamente». L’avvicendarsi della gioia e del dolore è perenne nella Vita Nova come in questo trattato e quando Dante malato ha la visione della morte di Beatrice, egli la chiama: «Dolcissima morte, vieni a me e non mi essere villana, perocchè tu dei essere gentile, in tal parte se’ stata: or vieni a me, che molto ti desidero e tu ’l vedi che io porto il tuo colore». Una invocazione quindi a la morte pari a quella di Guido in questo trattato:

Morte gentil, remedio de’ cattivi.

Riassumendo ora queste ultime osservazioni, noi abbiamo scoperto che nella Vita Nova vi è un ricordo di questo trattato e che questo trattato deve essere antecedente a quello, perchè la definizione d’amore vi è più vicina a gli antichi che ai poeti rinnovati; chè se anche un poeta inferiore avesse dato quella definizione in tempi più tardi della Vita Nova, dopo la canzone di Dante «Amore e ’l cor gentil sono una cosa», senza dubbio sarebbesi servito di quest’ultima voce di scienza amorosa. Quale dei poeti precedenti a lui Dante sdegnoso potè prendere quasi a tenue guida se non Guido Cavalcanti? E l’amicizia, che fu tra loro, non è quasi prova di questo formarsi della prima lirica dantesca su l’esempio dell’amico più vecchio e più amato e più apprezzato, anche se, per la forza intima del grande artista, pur ogni nota imitativa prendeva valore per sè e superava il poeta imitato? Un solo uomo Dante stimava degno «d’andar seco», pari a lui in «altezza d’ingegno»1, ed è Guido, e le molte citazioni di lui e la stima e l’affetto, con cui sempre lo ricorda2, potrebbero ben giustificare questa tenue imitazione di alcune sue rime nella prima giovinezza poetica. Dante poi si librò tosto a voli più alti depurando la sua forma artistica3, mentre Guido più lentamente moveva, quasi ancor stretto a quella maniera d’arte, da cui era mosso e che l’aveva fatto primo iniziatore del movimento dello stil novo. Altre osservazioni piccole e minute si potrebbero addurre: l’uso, per esempio, comunissimo

  1. Isidoro del Lungo, op. cit.
  2. Oltre che nella Vita Nova Dante parla di Guido nel De Vulg. Eloq. I, XIII, chiamandolo con Lapo fra i conoscenti del volgare illustre: e pure: De Vulg. Eloq. II, VI, XII.
  3. Questa maggiore oscurità per una più densa velatura d’arcaismo bene si vede nella risposta di Guido al sonetto il Dante:

                             Guido, vorrei che tu e Lapo ed io etc.